sabato 28 gennaio 2012

Dal vangelo secondo Giuda

L'appellativo "Giuda!" non nasce a causa del tradimento dell'apostolo nei confronti di Gesù, ma da un comportamento assai più deprecabile.
Pietro e Giuda erano molto amici. Con la loro piccola combriccola ne facevano ogni sera delle belle. Ad esempio giocavano spesso a mettere degli acidi dentro il vino di Gesù. Erano convinti che l'LSD avrebbe cambiato il mondo, ma non potevano immaginare il casino che effettivamente quei simpatici scherzetti avrebbero portato, ma questa è un'altra storia.
Un giorno, a causa di uno dei suoi quotidiani deliri di onnipotenza, Cristo, l'alter ego di Gesù in acido, venne messo in croce. Di tutto ciò, come sappiamo, fu accusato Giuda.
Dopo una notte di profonda riflessione, Giuda trovò la soluzione: "Scriverò un vangelo! Sono pur sempre un discepolo."
Quando entrò in libreria, Pietro notò gli sguardi compassionevoli dei commessi e dei clienti. Si recò subito al reparto esoterismo e prese dallo scaffale il vangelo del suo caro amico. Un fricchettone, un cinico, accanto a lui gli sussurrò: "pagina 45". Fu allora che il primo papa del mondo lesse le tre parole più infamanti mai scritte: "è stato Pietro".

giovedì 26 gennaio 2012

Il principio di imitazione

La persona, con i suoi ego, nasce e si sviluppa per imitazione. Quando sei piccolo imiti i tuoi genitori, vedi cosa fanno e lo fai anche tu. Già nel linguaggio, imparare la lingua, facciamo quello che fanno i nostri genitori. Li imitiamo in tutto, cogliamo i loro più piccoli pregi e difetti, per noi è lo stesso, e li imitiamo. E qui non importa che siano pregi o difetti, importa che siano una copia. Poi cresciamo e scopriamo altri modi di essere. E li imitiamo. Imitiamo tutte le persone che conosciamo e che ci piacciono, in base anche al sistema di valori che abbiamo acquisito, a volte anche in contrapposizione ad esso. Ma imitiamo. E siamo esattamente la somma di tutte quelle imitazioni. A un certo punto qualcuno smette di imitare e rimane con i suoi ego. Qualcun altro continua a imitare e a divenire. Qualcun altro continua ad imitare con la coscienza di imitare e facendo scelte consapevoli. Qualcun altro smetterà di imitare e cercherà di eliminare tutte le imitazioni di cui è composto. Cosa rimarrà a quest’ultimo? La risposta non è affatto ovvia. Non rimarrà nulla. O rimarrà la coscienza pura, coscienza di nulla, coscienza che il nulla esiste. Ma esiste il nulla? Possono essere eliminati gli ego? O saranno sostituiti da qualcos’altro? Quando si eliminano alcuni ego, come quello dell’orgoglio per esempio, ci si comporta in un modo diverso da prima. Il valore che guida il nuovo comportamento esiste? Può essere definito virtù un comportamento di qualcuno che non ha bisogno di essere considerato superiore? Di qualcuno che non ha paura di essere considerato stupido? Che non deve sempre per forza dimostrare di essere bravo? Mettiamo che lo definiamo virtù e che il motivo sia che questa virtù ci faccia stare bene. Ci soddisfa questa interpretazione del mondo? Ma questa è solo la somma di tante interpretazioni, non c’è niente di vero in tutto ciò, o forse si, ma è una copia di ciò che io ho letto fino ad ora. La copia di tante copie. È vero o è falso? Non c’è un parametro. L’attribuzione dei giudizi di valore concerne le nostre emozioni, ciò che ci piace, ciò che è piaciuto alle copie di cui siamo copia che continuano a vivere dentro di noi, e forse ci possiamo fare qualcosa, e forse possiamo davvero farlo, ma non serve a niente, solo ad essere felici. Forse.

giovedì 12 gennaio 2012

Per chi cerca lavoro

In questi gironi sto pensando delle cose, che non è la prima volta che affiorano nel mio cervello superstite.
Pensavo ad esempio alla voglia che tanta gente ha di fare una professione.
C'è chi vuole fare il medico, quell'altro legge un fumetto strepitoso e vuole fare il fumettista, un altro vede una pubblicità spettacolare e vuole fare il pubblicitario, un altro lo scrittore, lo sceneggiatore, il filosofo, l'artista, e così all'infinito.
Tutto ciò in questo eccezionale, nel senso che è un'eccezione, momento di lucidità mi sembra totalmente senza senso.
è un errore logico, è un condizionamento troppo chiaro, credere di voler fare una professione. In realtà si vuole avere l'immagine che quel professionista ha. è come andare a tagliarsi i capelli, andare dall'estetista, farsi crescere i baffi o la barba. L'errore logico consiste nella confusione tra l'effetto e la causa. Ora mi spiego e chiarisco tutta questa accozzaglia disordinata di parole:
essere un professionista è una conseguenza della professione che si esercita. Se non fai quella professione non sei quel dato professionista. Non si vuol fare una professione, si vuol fare ciò che in quella professione si fa. E per fare questo non c'è bisogno di voler fare qualcosa, si fa e basta, e la conseguenza sarà che diventerai quel dato professionista. Ma è inutile voler fare quella professione.
Voglio dire: fai quello che ti va di fare e farai automaticamente la professione che ami di più, la starai già facendo. La professione a cui aspiri puoi cominciarla subito, non ti serve nulla. Oppure vuoi i soldi che fare quella professione comporta? Ma se è così allora non è vero che volevi fare quella professione, non è davvero quello che volevi, perchè in realtà tu volevi, vuoi fare soldi.
Non ha senso voler fare gli scrittori, o gli artisti: uno scrive o crea opere d'arte. Mica ti assume qualcuno.
è possibile che se ti stai affaticando per raggiungere un obiettivo lavorativo, vuol dire che quel lavoro non ti piace.
Per esempio, se ti stai affaticando a scrivere un libro e passi un sacco di tempo pensando a chi te lo pubblicherà, vuol dire che non vuoi davvero fare lo scrittore. Altrimenti scriveresti no? (questa era didascalica, ma non si sa mai chi legge queste puttanate).
Perchè affaticarti a cercare un lavoro quando il lavoro che ti piace di più puoi farlo adesso?