mercoledì 26 maggio 2010

Il narcisismo di Lowen 4


Ho imparato a non odiare i miei genitori a 20 anni. Se uno è handicappato che ci può fare?
Infatti all’asilo la mia maestra era mia madre. E io ero il figlio della maestra, rispettato e riverito come un principe, perché ero il principe. Tutti i bambini mi amavano e non avrebbero mai osato contraddirmi o farmi alcun male, tranne certi bruttissimi ceffi che adesso hanno fatto una brutta fine, ma che ora stimo più di tutti gli altri.
E l’asilo l’ho fatto a Favara, città catto-mafiosa di 40 mila abitanti in provincia di Agrigento.
Mi ricordo che una volta, il mio miglior amico dell’asilo, Luca, che adesso fa il barbiere e non mi saluta se non lo saluto, mi ha detto, riferendosi all’indifesa bambina nuova arrivata, (in dialetto): “La pestiamo?”. E io, magnanimo: “No. Non vedi che è piccola, e poi che ti ha fatto di male?”
Poi mi ricordo di una bambina bellissima, Rossella, che mi inseguiva per tutta la classe per darmi i bacetti. Segno che sono frocio, anche se non lo sono.
Poi sono andato alla scuola elementare. Per i primi due anni non ricordo nessun problema, ma a partire dalla terza elementare in poi è stato un massacro. Mi odiavano tutti. E io ricambiavo.
Avevano iniziato a chiamarmi “Cucuzza” perché dicevano che avevo una specie di zucca dietro la testa. E io me la prendevo tantissimo, mi offendevo. Offendersi è un atto di accusa. È un modo di dire “questo non devi farlo, è vietato, e se continui a farlo sei cattivo. No, te lo dico proprio: sei cattivo!” Praticamente è come insultare qualcuno. Mi offendevo e rispondevo insultandoli. E loro, naturalmente, ricambiavano chiamandomi Cucuzza.
Poi, con la scuola media, tutto ciò è finito. Ma il male è sempre in agguato.
Avevo 18 anni e prendevo un sacco di farmaci. Da qualche mese facevo lo sbruffone anche con i miei amici. Una sera, in circostanze fattoidi, Massimo e Gianluca avevano preso a prendermi in giro. Massimo mi guarda e dice (in dialetto): “Minchia ‘Buskopan’!”.
Sarà stato anche l’effetto del vino e delle canne, ma quella volta mi sono trasformato in un bambino dell’asilo, terrorizzato, che doveva prendere una decisione: lottare per mantenere l’immagine da figo maledetto resistente alle intemperie o accettare anche la condizione, vera, reale, di essere anche un po’ sfigato e malato?
Sarò stato un bambino dell’asilo per un’ora, e verso la fine avevo iniziato a ridere insieme a loro. Ma la decisione fu ancora più drastica. E gli effetti furono spiazzanti. La gente non sapeva cosa dire ogni volta che ripetevo la performance.

“Oh, Alessà, lui è Buskopan.”

“Ah ah, certo. Piacere, Alessandro.”

“Piacere, Buskopan.”

“Come?”

“Buskopan.”

“Vabbè, allora io ti posso chiamare Buskopan?”

“Certo.”

“E perchè Buskopan?”

“Perché piglio tanti medicinali”

Mi ricordo che da quel momento la gente acquisiva un certo rispetto nei miei confronti. La mia sincerità era un presentarsi disarmati. Sono sempre stato più amato come Buskopan, che come Davide Valenti.
Mi serve qualcuno che mi insulti.

San Giovanni Copywriter


A Gesù puzzavano i piedi. Un giorno, di fronte a tutti, Gesù chiese a Giovanni Battista di allacciargli i sandali, che naturalmente portava senza calzini, perchè lui aveva mal di schiena e non si poteva abbassare. Allora Giovanni, che era un uomo saggio, si inventò così su due piedi quello slogan ormai immortale: "Io non sono degno neanche di allacciargli i sandali".

giovedì 20 maggio 2010

Effetti narcisistici dell'umiltà



Non darei mai un voto a qualcosa di mio. Però.
Passeggiavo per internet alla ricerca del senso ultimo della mia esistenza, quando capito per caso su un mio scritto pubblicato su un sito che si chiama setteperuno.qualcosa.
Ecco, quello scritto è stato votato, con 5 stelline, da un solo utente.
E cosa penseranno tutti gli altri utenti che si troveranno a passare per caso da li?
"Guarda questo sfigato che si è votato da solo".
Quindi adesso ci sono due voti.

Il narcisismo di Lowen 3



Gli artisti devono dire quello che di più autentico hanno da dire. E si drogano.

Cioè, loro sanno di aver dentro Leonardo Da Vinci e vogliono mostrarlo, ma per mostrarlo non possono essere narcisisti, perché Leonardo Da Vinci non è certo un modello di Versace.

Quando ti droghi sei felice così come sei, anche se sei Leonardo Da Vinci, e non hai bisogno di dimostrare di essere quel figo di Gesù Di Nazareth.

Tutte le opere dei più grandi artisti appartengono in realtà a Leonardo Da Vinci: L’urlo di Munch, la ruota di bicicletta di Duchamp, The Wall dei Pink Floyd, Fight Club di Palahniuk feat. David Fincher, American Beauty di Sam Mendes, The Invisibles di Grant Morrison, le Torri Gemelle di Bin Laden…

Tutta opera sua.

Ma un narcisista invoca il suo Leonardo Da Vinci solo perché Leonardo Da Vinci sa fare delle cose che Gesù Di Nazareth non sa fare. Delle cose per le quali sarà ancora più amato. Purtroppo per lui però queste opere non le firmerà “Leonardo Da Vinci”, ma “Gesù Di Nazareth”.

“Gesù Di Nazareth”, un nome che qui usiamo in modo assolutamente convenzionale, è tutto ciò che “devi” essere: bello, buono, intelligente, sofferente, famoso, umile.

Ma tutto questo che c’entra con me?

Come che c’entra? C’entra che ho creato questa teoria così stupida per avere ancora una bella immagine da artista maledetto quando vi avrei raccontato che ho passato tutto il pomeriggio a farmi le canne e a scrivere stronzate.

giovedì 13 maggio 2010

La prova di Evelyn



Prove Invalsi, 6 Maggio 2010, Classe quinta C, scuola elementare Gianni Rodari, Palermo.
Evelyn Troisi davanti al questionario.

Devo scrivere. Questo compito delle domande, come l’anno scorso. Serve a capire se siamo bravi, se siamo intelligenti. Io non me la fido mai, lo so. Va bè, tanto siamo tutti troppo scecchi. Cinque anni che ci dicono tutti che siamo scecchi. Però a danza io sono bravissima. So fare tutto il balletto di Alessandra di Amici che l’ho fatto pure alla comunione di mia sorella che tutti mi dicevano brava Evelyn tu sei ‘na ballerina.
Devo scrivere il nome della cosa che è disegnata. E accanto c’è la lettera come comincia e come finisce la palora. Mi, troppo facile, me la fido. Devo solo scriverci dentro la palora.
Questa è una crapa. Comincia con A finisce con O. E’ l’asino. No asino no. Ah va be, Agnello. AgnellO. Con due ll. Sono brava. Agnello è una palora che la so. Agnello di Dio. La crapa piccolina. Agnellino. Ci scrivo Agnellino.
Questo invece non si capisce, mii. Ma non posso chiedere ad Annamaria che poi la maestra mi grida. Guardo da Annamaria. Ancora è alla crapa. Mi. Aspetto un poco. E’ troppo lenta. Lei è lenta. Io sono veloce però. Sento caldo, magari che mi posso togliere il grembiule di nascosto. Oppure solo sbottonare un poco. Bravissima sono. Non se ne è accorta.
Allora , questo disegno non si capisce, forse è una spica di grano. Però no, veramente non ha i cosi lunghi ed è più pacchiona. Allora veramente a me mi pare una pollanca*. Comincia con P e finisce con A. PollancA. Giustissimo. Sono brava però, questa era facile.
Poi ci sono tutte queste domande. “Segna la risposta corretta: in quali di questi casi il congiuntivo si può utilizzare in modo proprio”. Si vabbè. Questa non me la fido. Ma quando usciamo? Questa gomma è profumatissima però. Come quella di Evelyn Conticello che però ci siamo sciarriate. Ora cancello un poco il banco, che è tutto sporco.
“Evelyn Troisi, lavora invece di giocare con la gomma” . Uffa, mi ha visto. Sei una maestra brutta e senza capelli e mi fai paura quando mi gridi. Però io non stavo giocando,stavo pulendo il banco. Questo compito è troppo difficile, il banco è tutto lordo e io sono abbirsata, e me lo dice pure mia zia Giusy. Però poi la maestra ce lo dice a mamma che non mi fa fare la gita. Va bene, prendo la matita. Allora io ci rispondo a una si e a una no accome capita. Io già tanto lo sapevo che non me la fidavo. E tanto da grande faccio la ballerina ad Amici.

* (pannocchia di mais bollita in palermitano)


Carla Gueli






Carla Gueli è nata a Palermo, è cresciuta ad Agrigento e vive a Palermo.

mercoledì 12 maggio 2010

Il narcisismo di Lowen 2


Non avere tempo libero è narcisismo.

Il tempo libero è un tempo in cui non sei obbligato a far niente, ma i narcisisti non riescono a non seguire l’imperativo del perfezionamento della propria immagine.

Quindi oggi pomeriggio ho dato il giorno libero a Umberto, il mio assistente artistico settimanale, e mi sono preso un pomeriggio totalmente affidato al caso.

Sono uscito alle 12.30 dalla scuola elementare nella quale sto creando piccoli bambini stranieri narcisisti e sono andato a pranzo dalla mia amica Carmelina.

Dopo pranzo ho fatto i miei esercizi ortottici, prendendomi cura del mio sé piuttosto che della sua immagine, sono andato in bagno, ho guardato i Griffin e poi ho detto a Carmelina (in dialetto): “Adesso esco a non far niente”, e Carmelina ha risposto: “Bravo.”

Per me, che sono narcisista, l’arte è lavoro.

In metropolitana ho iniziato a pensare al video che ho fatto e che sto montando insieme alla mia ragazza. Ho pensato: “Però quei titoli finali potrebbero essere scritti in questo modo (la cui immagine non vi posso mostrare a parole), sarebbe molto più figo.”

Quindi ho chiamato Marilisa e gliel’ho detto e lei ha detto: “Bravo.”

Poi in Feltrinelli sono andato direttamente al reparto arte e ho visto un libro intitolato Arte relazionale che sembrava poterti dare una visione completa dell’arte del novecento. Leggendolo avrei avuto la possibilità di creare opere d’arte applaudite per la loro originalità e consapevolezza. Mi sono segnato il titolo per cercare l’argomento su internet, invece di comprare il libro, e mi sono detto bravo.

Poi sono tornato a casa per vedere se la redazione aveva risposto affermativamente alla richiesta di pubblicazione dei miei scritti narcisistici. E infatti mi avevano risposto che il primo episodio gli era piaciuto, ma avevano bisogno di un secondo per essere certi.

E quindi sono qui a scrivere da tre ore e sono le 8 meno un quarto e devo uscire per andare a una cena da una mia amica che deve aiutarmi a realizzare un’opera che firmerò col nome di un altro artista per dire che sono tutti narcisisti. Opera per la quale spero che mi diranno: “Bravo”.

domenica 9 maggio 2010

Risoluzioni

Si ti dolinu i denti un trovi soluzioni.
Si ti doli a testa un trovi soluzioni.
Si vo truvari soluzioni un tav'a doliri nenti.


Carmelina Licata






Carmelina Licata è nata il 13/07/1977 a Canicatti.
Ha studiato filosofia a Palermo.
Vive e lavora a Milano.

venerdì 7 maggio 2010

Intermezzo

Dopo un po' che scrivo mi viene voglia di scrivere della scrittura. Mi viene un senso di banalità per tutto ciò che può essere scritto e trovo l'unica via d'uscita nella scrittura di ciò che sta accadendo mentre scrivo. Forse perchè l'unica cosa vera è il presente. E forse anche perchè ho questa idea fissa della libertà da qualcosa e trovo la libertà assoluta nel nulla, cioè nel tutto del presente che non significa nulla tranne se stesso.
Ho anche un fastidio, un'avversione per la mia tendenza di compiacere il lettore.
Anche se alla fine uno scritto è finalizzato alla sua condivisione, esso tuttavia perde la sua identità quando il suo contenuto è ciò che il pubblico desidera e non ciò che esso stesso è.
Anche uno scritto, come gli uomini, vive meglio, esiste, se esiste e agisce solo per sé, se è egoista.
Le cose banali da vedere o da sentire sono cose che non esistono per se stesse, ma solo per gli altri.
Solo se uno scritto pensa a se stesso è originale. Se uno scritto pensa agli altri farà ciò che fanno tutti, ciò che è già condiviso. Sarà uno scritto di buon gusto. E questo non vuole esserlo: Porco Dio.

giovedì 6 maggio 2010

IL NARCISISMO DI LOWEN 1




Ora sto mangiando una pera e sto cercando di pensare a com’è cominciata tutta la storia del narcisismo.
Ah, praticamente ho comprato questo libro: Il narcisismo, di Lowen, padre della bioenergetica, che è una psico-terapia nipote della psicanalisi.
E contemporaneamente stavo leggendo L’unico di Stirner.
Ed è successo che queste due letture si intrecciassero perfettamente.
Praticamente secondo il secondo siamo schiavi di idee che ci rubano la vita mentre secondo il primo c’è una patologia che ci fa seguire l’immagine di noi che piace di più a scapito del nostro vero sé, fatto di sentimenti e sensazioni.
Un narcisista è come un morto. I sentimenti gli impedirebbero di raggiungere i suoi scopi di bellezza, perfezione, donne/uomini, carriera, status sociale ecc…
Ma dietro la facciata della vita perfetta c’è un essere triste, sempre insoddisfatto di sé e a cui manca sempre qualcosa per essere completo.
Ma io so che la completezza arriva solo con la morte.
Allora, come Narciso si specchiava dentro il lago e si innamorava della sua immagine, così io mi sono specchiato in questa stessa immagine, ma mi sono fatto schifo.
E allora devo riuscire ad uscire dal narcisismo. Devo riuscire a trovare il vero me, a ritrovare il contatto con la realtà e le sue sensazioni, a capire come faccio a liberarmi da quel nemico che sono io in versione yuppie.
Naturalmente fare tutto ciò abitando a Milano è un po’ difficile, ma, essendo narcisista, non credo che ci sia qualcosa di impossibile per me.
E qui arriviamo all’altro giorno in cui ho detto al mio ex coinquilino Nicola quale sarebbe stata la mia prima mossa.
Ma qui ci vuole una premessa.
Allora. Io ho fatto il pubblicitario per 6 anni e, da buon narcisista, mi è capitato di vincere dei premi per la creatività. Poi ho lasciato perché non mi piaceva più dire cose in cui non credo.
Tornando a noi, nell’ultima agenzia ho fatto alcune campagne carine che dovrebbero vincere qualche premio. Quindi la mia idea è stata quella di mandare sul palco qualcun altro per ritirare il premio. Ma, mentre ero lì con Nicola che rifletteva su questa decisione, mi è venuta un’idea che ho trovato geniale, anche se questa parola dovrebbero eliminarla dai vocabolari mondiali: mandare qualcuno che dicesse al microfono che io non ero andato perché sto cercando di combattere il narcisismo. E giustamente Nicola mi ha fatto notare che questo sarebbe come dire: “Io non sono come tutti voi narcisisti. Guardate quanto sono migliore di voi”, la cosa più narcisista del mondo.
Quindi l’unica soluzione sarebbe non andare a ritirare il premio, privarsi di una serata divertentissima di gente che ti guarda invidiosa e di te che fai finta che non te ne freghi niente perché tanto tu stesso hai scelto di non fare più il pubblicitario e di rinunciare alle stupidaggini per cui invece loro vivono. Salutare tutti non accennando mai al fatto del premio, con la tipica umiltà dei più arroganti narcisisti internazionali.
Porca puttana.